Caccia al nero

10.01.2010 00:03

 

Ecco la risposta alla prassi ormai consolidata, per molti centri calabresi, nell’organizzare manifestazioni con marce e raduni, coinvolgendo ragazzi africani che si trovano numerosissimi   nell’intero territorio, impegnati nei lavori agricoli per la campagna agrumicola e non solo, trovando impiego ormai in quasi tutti i settori. Quale migliore occasione se non le festività natalizie  a placare una opulente coscienza altrimenti troppo rumorosa in eccesso di consumismo che attanaglia e costringe anche al superfluo, prescindendo se si è laici, agnostici o religiosi.  Ecco, ora ci sono loro, i ragazzi africani, assonnati e stanchi di giornate troppo lunghe che iniziano all’alba per tentare di trovar lavoro, che si consumano nei campi per poi tornare in luoghi di accampamento di “case” non case, senza acqua senza luce in ricoveri diroccati dove passare la notte all’ addiaccio, coperti solo da cartoni  fintanto che qualcuno non chiede l’affitto per un qualcosa di improponibile che li costringe a “traslocare” la propria busta di straccetti. Ma poi arriva Natale che intenerisce  i cuori e ci slancia in una fratellanza che disarma, che ci fa allargare le braccia ad accogliere i “fratelli” africani, in una integrazione che non c’è, che non c’è mai stata e che si ridicolizza di ipocrisia. Ecco che si portano allora  50 ragazzi stanchi a fare una marcia della pace e della fratellanza  in contrapposizione ad una divisione, ghettizzazione ed intolleranza che non parte certamente da loro. E non verrebbero neanche alle nostre marce di pace, ai nostri concerti, ai nostri convegni se non fosse per qualche piatto caldo, per qualche indumento dismesso. E non badano assolutamente  al parroco di turno che afferma di averli a cuore più dei propri parrocchiani perché non allevia i loro disaggi, non badano affatto al Sindaco che propaganda integrazione per un solo giorno, essendo altre le loro necessità, che si chiamano dignità, rispetto, tutela. Indicibile il cretino che li filma, come fossero bimbetti alla festa di compleanno, e ride. Non serve a nulla far finta che ci si interessa di loro, mascherando di  bontà ciò che si manifesta in evidente buonismo nella sua forma più letterale di eccesso di buoni sentimenti, seppure suggestivo ma assolutamente inconcludente, che si trasforma, però, in “caccia al nero” appena qualcuno di loro alza la voce. Ecco quindi che se non accettano di essere bersaglio del tiratore di turno e si ribellano è sinonimo di eccessiva tolleranza. Ma siamo davvero noi ad essere tolleranti o sono stati loro ad avere la pazienza dei Santi, ad essere derisi, sfruttati, malpagati, malnutriti, derubati a volte, non curati, ghettizzati? Eppure tolleriamo che lavorino solo loro nei nostri campi. Tolleriamo che accudiscono i nostri allevamenti. Tolleriamo che puliscono le nostre stalle. Non tolleriamo che si incazzano se qualcuno li colpisce gratuitamente, per gioco, per passatempo. E’ ipocrisia considerare il loro migrare alla pari della nostra emigrazione pre e post-bellica. Non c’è storia che narra di condizioni simili alle loro nel nostro migrare per ogni dove e in ogni tempo. Lavoro, sacrifici, privazioni, ma sempre e comunque dignità, che hanno innalzato le condizioni di vita dei nostri emigrati, che si sono migliorati nel benessere e hanno migliorato in termini di sviluppo i paesi che li hanno accolti, restituendone ai propri paesi di origine di quel benessere sia di quanti sono tornati sia di quanti hanno deciso di restare emigranti. Oggi noi, esperti di emigrazione per averlo fatto prima, li paghiamo con un’altra moneta, quella della disperazione che si aggiunge a quella insita delle loro origini che va ad aggiungersi, per molti versi, a quella autoctona. Non basta “esporli”, magari in chiese superaffollate, contribuendo ad aumentare l’imbarazzo di una diversità  drammaticamente da loro avvertita. se non razziale sicuramente per condizioni di vita estreme. E’ un ulteriore aggravare la nostra posizione nei loro confronti cercando di regalargli un Dio di cui  magari non ne hanno mai sentito parlare, che non alleggerisce le nostre coscienze, perché anche il Natale dura appena un giorno, dopo di che ancora indifferenza, per un altro lungo anno, nella speranza che qualcuno non gli spari addosso, causando una violenta rivolta. Ma questo è ormai successo e l’anno è solo all’inizio.