Qualche giorno fa è arrivata la notizia da Roma che la Signora Francesca Palaia è deceduta. Una complicazione su un’apparente cosa da poco conto che, data l’età, non l’ha superata. Cercando tra tutto ciò che ricorda quello che Candidoni è stato, per luoghi, circostanze, fatti, personaggi, ho trovato una sua foto del 1956, aveva 36 anni, era nata a Candidoni il 24 marzo del 1920. Una foto bellissima, forse per questo mi ritrovo a scrivere, la quale, appena trovata, mi riportò ad un giorno di qualche anno fa. Pranzammo insieme dai genitori di mia moglie, che li legava una profonda e sincera amicizia. Ricordo che sottolineò il mio essere di poche parole, quasi come inopportuno, potrebbe essere frainteso questo tuo modo di essere, disse, passi per antipatico. Probabilmente aveva ragione. Mi raccontò della sua vita, di Candidoni e dei suoi personaggi del tempo, della sua infanzia. Mi raccontò aneddoti, mi recitò filastrocche. Un rievocare lucidamente una vita trascorsa, che seppur dettagliata, resta sospesa, tra reale e irreale non avendo riferimenti su cui appoggiare il racconto. Tutto ciò si razionalizza semplicemente con una vecchia foto, una bellissima foto che ritrae una bellissima donna. Un’immagine che spiega nei dettagli i successi della Signora Francesca, un’esplosione di positività negli occhi, nel sorriso spontaneo. Un’eleganza indicibile per il tempo, seppur nella ruralità del tempo e delle sue cose. Nel taglio semplice del vestito, nell’approssimata acconciatura, quasi a contorno di una freschezza del volto innata, tanto irreale che sembra frutto di paziente ricerca. Una positività che non poteva essere rinchiusa a Candidoni, troppo piccolo per genti troppo grandi, che la porta a Roma nel 1959. Li, in città, mette in atto la sua operosità, con i suoi figli, lavora con successo e ne ha riscontro. Sposa a diciotto anni, mamma di sei figli. Quando è tempo di riposare ritorna a Candidoni per lunghi periodi, forse perché mai abbandonato in fondo. Forse perché figlia di questa terra completamente, visceralmente, con la sua passione per ogni cosa che lo ricordava, per ognuno che come lei ne era espressione, per una devozione di fede. Per tutto ciò, forse, si diventa di un luogo istituzione, e con quel luogo ci s’identifica definitivamente.